mercoledì 16 dicembre 2015

Racconto di Natale 2015 Let It Snow, Oldman


[1]

Faccio oscillare il bicchiere, come un vero gentleman. Un aroma fruttato accarezza con infinita delizia le mie narici e un liquido rosso corposo entra festosamente nel mio palato.
“Mi scusi, padron Oldman, ma… sta bevendo il Barolo ordinato dal cliente?”
Poso il calice sul bancone.
“Quel pelato pensa solo a vendicarsi della moglie, servigli un Tavernello e non noterà la differenza.”
Poso una coppetta di salatini economici sul vassoio e mi dedico, meditabondo, ad assaggiare i crostini di qualità che quel primate non avrebbe apprezzato a dovere.
Oggi qualcosa non va.
Una piccola cosa, un pensiero infinitesimale dalla mezzanotte non mi dà tregua. Giurerei che ci fosse una mansione che dovevo sbrigare, ma non ricordo mica di che si tratta. È chiaramente il troppo lavoro, mi ha usurato. Ieri ho dovuto risolvere il caso di una bevanda arrivata sgasata al tavolo e di un cliente che si stava soffocando con un’oliva verde. Sono sfibrato.
Afferro ombrello, cappotto e cappello e mi sistemo con cura la sciarpa sul colletto. Un po’ di nullafacenz... aria fresca mi farà tornare la memoria.
“Padron Oldman, oggi le previsioni danno nuvoloso, senza pioggia.”
“Ignorante, l’ombrello serve per conferirmi un’aria sofisticata.”

Apro la porta ed entro nel mondo.

[2]

L’aria è squisitamente gelida. Scandendo il rumore dei miei passi con ritmici rintocchi dell’ombrello sul selciato, mi beo del mio incedere elegante riflesso nelle vetrine. Qua e là si odono risate e canzoni natalizie, e in fondo alla strada un venditore ambulante decanta la bontà del suo vin brulé. Io mi dirigo verso il mio posticino preferito per i momenti di relax, quando con la coda dell’occhio intravedo un fanciulletto seduto su una panchina, che si soffia rumorosamente il naso. Ha le guancette rosse rosse e la schiena ricurva. Il labbro screpolato e le manine tremanti. Con un’espressione che trasuda quella disperazione infinita ma in grado di passare in un istante tipica della sua età, mi fissa supplicante. Il cuore mi si stringe a una simile visione, che mi fa percepire in tutta la sua violenza il rigore invernale, e faccio quello che il mio istinto mi suggerisce con prepotenza. Lo ignoro e tiro dritto verso il chioschetto di vin brulé, un sorso mi scalderà.
Mentre cammino di gran carriera, all’improvviso qualcuno mi strattona da dietro il cappotto. Mi giro. È il fanciulletto.
“Ehi, tu! Ti sembra questo il modo di comportarsi?!”
“Che vuole dire, signore?”
“Macché signore! Sono un ragazzo! E ho freddo! E fame! Non hai visto come ti ho fissato prima?”
“L’ho visto, sì.”
“Persino un pezzo di pietra si sarebbe sciolto alla visione di me che muoio dal freddo!”
“Infatti mi ha suscitato il desiderio di riscaldarmi con un vin brulé e… ahi!”
Mi è arrivato un calcio sulla caviglia.
“È a me che dovresti offrire qualcosa!”
Lo fisso intensamente.
“Ma bravo. Egoista, prepotente e persino violento.”
Inarco le labbra, fino a sorridere in tutto il mio splendore.
“Complimenti, stai crescendo su bene. Per premiarti ti offrirò qualcosa, vieni con me.”
Il fanciulletto barcolla in maniera impercettibile.
“Perché… sui denti hai scritto C’est la vie?

[3]

Il cielo è lievemente nuvoloso, la nebbia rada al punto giusto. Arrivo finalmente al mio posticino preferito e mi accomodo sulla panchina. È una giornata perfetta, se non fosse per quella piccola cosa che ancora non mi sono ricordato e per un secondo pensiero fastidioso che ha preso a ronzarmi nella mente.
“Ehi, ma mi ascolti quando parlo?” si impone una voce lamentosa alla mia destra.
“No.”
“Ma sei spudorato! Hai sentito una sola parola di quello che ti ho detto?!”
“Non ascolto quello che non mi interessa. Stavo pensando al fatto che sulla pagina facebook il mio racconto non sta avendo una quantità adeguata di like, medito vendette e ritorsioni terribili.”
Il fanciulletto fa un’espressione perduta. Povera creatura che vive nell’ignoranza.
Metto la mano in tasca e ne estraggo la scatolina delle caramelle.
“Ne gradisci una?”
Il fanciulletto tuffa le ditine smilze nella scatola e prende cinque caramelle, cacciandosele tutte insieme nella bocca avida. Qualche secondo dopo, il viso si contrae in una smorfia.
“Ma sono amarissime!”
Le sputa lasciando cinque ferite neri nella neve candida.
“Amare come la vita” sorrido.
Sulla pista di pattinaggio esattamente davanti alla mia panchina, una donna sovrappeso cade facendo rotolare la borsetta che non ha lasciato al deposito oggetti personali perché temeva che gliela rubassero. Un rossetto e una confezione di prugne secche scivolano sul ghiaccio.
Mi metto una caramella in bocca e rido amabilmente.
“Perché cavolo ridi?”
“Adoro lo spettacolo della miseria umana. Sei soddisfatto di ciò che ti sto offrendo?”
Mi infilo un’altra caramella in bocca e sospiro, in estasi. Un signore in cravatta prende male una curva e atterra dritto sul sedere. So che le chiavi che ha nella tasca posteriore sinistra dei pantaloni gli lasceranno un livido monumentale.
“È questo che intendevi con offrirmi qualcosa?! Tu non ci stai con la testa.”
“Ti stai lagnando di ciò che ti ho offerto con tutto il mio inesistente cuore, coso?”
“Io non sono un coso! Mi chiamo…”
“Non mi interessa come ti chiami.”
“Perché?!”
“Sei rozzo e ineducato, non c’è eleganza nel tuo egoismo. Ora va’.”
Il fanciulletto infila una mano nel cappotto troppo grande per il suo corpicino e ne estrae un foglio tutto stropicciato.
“Leggi qua!”

[4]

Il fanciulletto insiste nel tenere la manina tesa, per impormi di leggere ciò che ha in mano.
I suoi occhi brillano di aspettativa.
Posso sentire il cuoricino che gli batte forte, ansioso e impaziente.
Io fiuto la situazione, mi alzo dalla panchina e tiro dritto verso il chiosco degli hot dog, vicino alla pista da pattinaggio.
“Ehi! Non vuoi leggere quello che ti sto dando?!”
“No, io me ne tiro fuori.”
“Ma di che parli?!”
“È chiaramente un tentativo delle autrici di coinvolgermi in qualche trama fastidiosa, ma non ci casco. Au revoir.”
Attacco a correre. Il fanciulletto mi insegue, con tutta la potenza delle sue gambine corte, ma io non starò al gioco delle autrici. Sono apparso troppo poco nella storia principale per prendermi il disturbo di essere il protagonista del racconto di Natale. Eh, no, cari miei, avete visto male, il sottoscritto leva il disturbo e tanti saluti. Potevate pensarci prima!
Inciampo vistosamente su un oggetto non identificato. Con infinita grazia, atterro di faccia ma senza emettere un lamento. Mi rimetto in piedi con un atletico balzo fingendo estrema nonchalance mentre i passanti mi guardano lievemente allarmati, e lancio un’occhiata all’oggetto colpevole: un cappello da renna. Giada Plasenzotti, ti pentirai di aver chiesto sulla pagina facebook che lo indossassi. Oh, se non lo indosserò. Lo raccolgo, lo depongo in un cestino dell’immondizia e ombrello alla mano riprendo la mia dignitosa passeggiata, deciso a schivare qualsiasi accenno di trama incontrerò lungo la mia strada.

[5]

Dopo essermi girato per l’ennesima volta, in modo da controllare che il fanciulletto non mi stia più alle calcagna con l’ostinazione di un Terminator, mi godo la ritrovata solitudine entrando nella mia sala da tè preferita. Mi accomodo nel tavolino più appartato e ordino alla solerte cameriera la tisana tredici del menu, quella all’echinacea.
“Le piace molto questa tisana, ama i frutti di bosco?”
È una giovinetta deliziosa, dai fianchi generosi e dalle occhiaie leggere di chi sacrifica un po’ troppe ore di sonno alle fantasie notturne.
“No, è perché l’echinacea mi ricorda il sapore del sangue.”
La giovinetta mi fissa con uno sguardo indefinibile e si dirige verso il bancone.
Al suo ritorno, sul vassoio accanto alla tazza di tisana è posato un cioccolatino.
“Lei è un tipo strano, sa?”
“Userei un’altra parola per definirmi ma sì, so che non resto indifferente a chi mi guarda.”
“E che parola userebbe?”
“Carismatico.”
Si siede al mio fianco.
“Senta… la verità è che… io so chi è lei…”
Avverto un lieve brivido lungo la schiena.
“E chi sarei?”
“Il signor Oldman, il celebre custode di Obscure…”
Resto in silenzio.
“Ecco, io avrei un desiderio proibito da realizzare… Posso parlargliene?”
La fisso. Con l’indice e il medio della mano destra, le esercito una lieve pressione sotto il mento, in modo che sollevi il viso verso di me.
“Certo che puoi parlarmene. Ma è molto più facile confessare l’oscurità che si ha nel cuore se non ci si guarda, mia cara. Voltati, raccogli i pensieri per un minuto e poi svelami tutto ciò che hai dentro.”
Gli occhi le luccicano di emozione. Si gira, dandomi la schiena, e posa le mani in grembo.
Io infilo la mano nel taschino del cappotto, molto lentamente. Ne estraggo una banconota e la depongo sul tavolo. Poi mi alzo, con altrettanta lentezza, indietreggiando. Non appena un cliente entra nel locale, schizzo a razzo uscendo dalla porta.
Non mi avrete mai, autrici! Potevate inserirmi di più nella trama principale! Era spudoratamente chiaro che quella donna fosse mandata da voi per chissà quale trama avete in mente!
Assaporo a pieni polmoni la corsa della libertà, mentre il vento mi scompiglia in maniera coreografica i capelli e il cappotto ondeggia con fare sensuale. Potrebbe essere la copertina di un bestseller mondiale, altro che quarta di cover del volume uno del Gioco del Serpente. Dopo una quindicina di metri, mi fermo. La corsa della libertà va bene, ma l’ascella pezzata no. Non è elegante.
Attendo che il battito cardiaco torni lento e regolare come un metronomo, quando scorgo in lontananza una sagoma familiare.
È…

[6]

C’è una bancarella, sul lato destro della strada, collocata in maniera discreta nello spazio tra un negozio e l’altro, esattamente nel punto in cui il muro effettua una rientranza. Una bancarella modestissima: un piccolo tavolo, un lenzuolo rosso, un cappello a cilindro posato con noncuranza e uno di quei congegni che si usano nelle lotterie di paese. Avete presente? Quegli affari con la manovella: la giri e ne esce una pallina. E poi, sopra il tutto, un uomo dagli occhi viola, profondi, che fissano… me.
Mi giro indietro e guardo alle mie spalle. Nessuno.
Sì, il Venditore di Desideri fissa me.
Mi sistemo il cravattino, brandisco l’ombrello, controllo in una vetrina di avere la barba a posto e mi dirigo verso di lui, avendo cura di camminare tenendo i piedi belli dritti. Una falcata da vincitore di un concorso di bellezza. Mister Obscure, per servirvi.
“Buonasera, Venditore di Desideri, qual buon vento.”
“Buonasera, caro Oldman.”
Sorride beffardo, come crede di saper fare solo lui.
Rispondo con un doppio sorriso beffardo.
“Anzi, precisiamo: il vento del destino, caro Oldman” sussurra, con un triplo sorriso beffardo.
Ma non mi batterai, ti lancio un’occhiata misteriosa lisciandomi il baffo. Tu non hai i baffi e non puoi, tiè.
E ci infilo un quadruplo sorriso beffardo.
“Destino… di cosa, Venditore?”
Infila la mano dentro il cilindro. Accidenti, io il cilindro non ce l’ho.
“Ah, sai, è tutto il giorno che me ne sto qui a esaudire i desideri delle persone. Ma sono desideri semplici, realizzarli non richiede più fatica di quanta ne serva a un genitore per acquistare nel negozio davanti a casa il balocco desiderato dal suo bambino.”
Nella mano ora c’è un piccolo pacco regalo di cristallo, minuscolo come il pugno di un neonato.
“E quindi?”
“E quindi ti propongo un gioco che possa divertire gente come me e te, persone che hanno visto fin troppo e che a volte hanno bisogno di una ventata di novità che porti nuova linfa nella nostra magia.”
Il Venditore ha un unico problema: che quando cerca di dire frasi a effetto comincia a diventare logorroico.
Ma mi ha incuriosito. Lo so perché mi prude il sopracciglio destro.
“Quale tipo di gioco?”
Lo domando osservando distrattamente i passanti. Non è elegante sembrare troppo interessato.
“Raccontiamoci a vicenda una storia per stupirci, né troppo straordinaria, né troppo banale, semplicemente che sia perfetta per questa giornata che ci avvicina al Natale. Ah, e che sia sincera, per quanto possa essere sincera una storia. I desideri, quando vengono raccontati da altre labbra che non siano quelle di coloro da cui sono stati espressi, vengono sempre un po’ traditi, perché…”
“Sì sì, ho capito” lo interrompo prima che sia troppo tardi.
“Allora accetti? Perché sai…”
“Alt! Stop! Un attimo, lasciami riflettere in silenzio” chiedo mettendo una certa enfasi sulla parola “silenzio”.

[7]

Soppeso la proposta del Venditore con la stessa meticolosità con cui scelgo la quantità di olive da associare al cocktail di un cliente: raccontarci a vicenda una storia a tema natalizio sui desideri, vedendo chi riesce a stupire di più l’altro. Pro e contro?
Contro: quando il Venditore di Desideri attaccherà a raccontare, rischio di non tornare a Obscure prima di cinque giorni. Come minimo devo procurarmi delle scorte di acqua e cibo.
Pro: adoro sentire il suono della mia voce e il Venditore sarebbe costretto ad ascoltare il mio racconto dall’inizio alla fine, con tutte le mie pause sceniche e la mia mirabolante gestualità.
Però, ora che ci penso, chi me lo fa fare?
“Ma c’è un premio per il vincitore?”
“Chi vince esaudirà un desiderio dell’altro, che ne dici di questa pensata? Mi sembra il premio ideale, alla luce del Natale che si…”
“D’accordo, d’accordo.”
Occasione ghiotta. Ghiottissima. Non devo fargli capire che sono molto interessato.
“Accetto, anche se in realtà sbadiglio già dalla noia.”
Mi porto fintamente una mano alla bocca.
“Bene, per suggellare il nostro patto ruota la manovella della lotteria, allora. E la magia ci illuminerà su come procedere con il nostro gioco.”
Agguanto la manovella e do una girata. Dal contenitore ovale si sente provenire il rumore di palline che ruotano e cozzano le une contro le altre. Poi, sul tavolo, da una fessura sul contenitore esce una pallina. Il Venditore la prende e la apre, annuendo in silenzio.
“La magia dice che ci servono dei giudici e ci indica quali. Provvederò io in tal senso, diamoci appuntamento tra un’ora nel parco dei cigni.”
“E sia.”
Mi allontano di gran carriera, fischiettando il bolero di Ravel mentre sono così di buonumore che faccio dei saltini e sbatto i talloni tra di loro come nei film. Ho praticamente già vinto. Farò un figurone così grande che il Venditore sarà costretto a esaudire il mio desiderio. E so già cosa chiedergli, accidenti se lo so!
Trascorro l’ora di attesa leggendo a scrocco i fumetti dell’unica edicola del parco e rubando la mela caramellata a una ragazzina con la scusa che fa venire la carie.
Mentre mi ingegno per togliermi lo zucchero dai baffi, giungo infine al luogo del gioco, quando da lontano scorgo due sagome accanto al venditore. Sono…
il fanciulletto pestifero e la cameriera del bar?
“Questi saranno i due giudici della nostra gara, Oldman.”
Sono fritto.
Inizio a sudare vistosamente.

[8]

“E vedi di farci divertire, vecchiaccio!” ride sguaiatamente il fanciulletto.
La cameriera dalle forme generose mi fissa come se volesse ricoprirmi di bitume e penne d’oca e rosolarmi nell’olio bollente.
“Ma… devono essere proprio loro i giudici?” sussurro al Venditore di Desideri.
“Te l’ho già spiegato, Oldman, lo sai anche tu che la magia funziona in modo imprevedibile.”
E va bene. Non sia mai che Oldman si faccia intimorire. Ho il racconto giusto per l’occasione, li stenderò tutti quanti.
“Ebbene – esordisco schiarendomi la voce – c’era una volta una Vigilia di Natale…”
“Passa al sodo, vecchiaccio!”
“Cos…?!”
Ma non faccio in tempo a ribattere che ci pensa il Venditore con uno dei suoi sguardi magnetici. Non so come fa, riesce sempre ad affascinarli, i ragazzini. Ma non sono invidioso, io ho i baffi. Scommetto che lui ha tentato di farsi crescere la barba e non ce l’ha fatta.
“Dicevo!”, riprendo con enfasi. “C’era una volta una Vigilia di Natale. Io ero nel luogo dove si realizza qualunque desiderio e stavo controllando che i camerieri facessero il loro dovere e…”
“Camerieri?” chiede la ragazza.
“Sì, Obscure è un pub, la gente si sente più a suo agio davanti a quantità smodate di alcol.”
“Che sciocchezza” commenta la giovinetta. Il Venditore stavolta non interviene, quel subdolo gigolò, quindi ci penso io.
Mi tolgo gli occhiali.
I miei due giudici ammutoliscono e finalmente posso narrare in silenzio.
Rinforco gli occhiali.
“Dunque… dicevo, ero a Obscure, la sera di una Vigilia di Natale un po’ troppo affollata per i miei gusti, quando all’improvviso nel locale entrò (ci butto un verbo al passato remoto che fa sempre colpo) un giovane. Aveva un aspetto un po’ troppo magro e degli occhi un po’ troppo stanchi. Non era accompagnato da nessuno, così mi avvicinai e gli porsi un bicchiere di Pinot grigio dicendogli che gli avrebbe dato un po’ di conforto e sperando che ne ordinasse un secondo, così potevo addebitarglieli entrambi.
Lui si accasciò sulla prima sedia vicina e, con uno sguardo troppo spento per la sua età, mi raccontò delle sue pene. C’era una ragazza per cui era impazzito. Non riusciva a togliersela dalla testa, ne era così ossessionato che la pensava continuamente.
Così gli chiesi come fosse nato questo amore che lo consumava.
‘Non lo so’ rispose. ‘Se potessi, vorrei dimenticarmi tutto.’
Era così grazioso, ignaro di se stesso e di come funzionava il suo cuore, che decisi di aiutarlo.
‘In tre giorni di tempo ti donerò la felicità.’
Lui mi fissò con uno sguardo che non dimenticherò mai.

[9]

Continuai il mio racconto.
“Il primo giorno il giovane tornò da me e gli diedi una rosa. Era rossa, bella e profumata. Gli dissi di tenerla con cura per il gambo nel punto in cui l’avevo avvolta con una carta dorata e di darla a colei che gli aveva rapito il cuore dicendole di aspirarne tutto il profumo. Lui la prese come se fosse la cosa più delicata del mondo e in silenzio uscì dal locale. Non senza aver bevuto tre Prosecchi e pagato il conto.
Il secondo giorno il giovane tornò da me con un volto dubbioso. La ragazza, dopo aver annusato in profondità la rosa, l’aveva buttata a terra ed era corsa via. Il cuore del ragazzo si sentiva come il fiore rifiutato e soffriva come non mai.
Allora gli diedi un abito. Era un vestito di seta azzurra, così leggera che ondeggiava lievemente al minimo tocco di vento. Lo avevo avvolto in una delicata carta argentata, affinché il prezioso tessuto rimanesse protetto e intatto. Lui ringraziò e uscì dal locale, dopo avermi offerto un Primitivo e lasciato la mancia.
Il terzo giorno il giovane tornò da me con la faccia livido di sgomento. La ragazza aveva aperto il dono, accarezzato il tessuto con la punta delle dita, ed era corsa a chiudersi in camera per provarselo. Il giovane aveva udito poi dei rumori, come un piccolo urlo, ed era apparsa la domestica a dirgli che non era più gradito all’interno della casa.
Il giovane bevve tre bottiglie del Barolo più costoso, pagando in anticipo, e alla quarta gli feci trovare sul vassoio anche un anello. Al centro, aveva un diamante. Su tutta la superficie della fedina, deliziose incisioni floreali.
‘Non pensavo che l’amore che provo per lei potesse essere incarnato così bene in un oggetto’ disse.
Si allontanò con il sorriso della speranza.
Il quarto giorno venne da me uno dei camerieri di Obscure porgendomi il giornale. In prima pagina, c’era la foto del giovane e il titolo: ‘Ragazzo tende un agguato alla donna (non più) amata cospargendola di melassa e prugne secche’.
Sorrisi.
‘Mi scusi, padron Oldman, posso farle una domanda?’ disse uno dei miei servitori.
‘Certo’ risposi allegro.
‘Ma non aveva promesso a quel giovane la felicità? Non capisco come mai i regali non abbiano funzionato… A giudicare dalla reazione del ragazzo, persino l’anello non dev’essere stato gradito.’
‘Oh, be’, la rosa era ricoperta di una fragranza che se inalata in profondità genera un istantaneo effetto lassativo. Il vestito, a contatto con la pelle per mezzo minuto, lasciava sulla schiena la scritta Scemo chi Legge e l’anello ti generava un prurito che sarebbe passato in una settimana.’
‘Ma aveva promesso di donare a quel signore la felicità…’
‘E’ stato lui a dirmi ‘Se potessi, vorrei dimenticarmi tutto’. A giudicare dalla melassa e dalle prugne secche, ora detesta così tanto quella donna ingrata che non vorrà mai più vederla.’
‘Ma non è stata un’ingrata, ha semplicemente reagito ai doni molesti che lei ha dato a quel giovane!’
Mi lisciai i baffi.
‘Scusa, tu vuoi lavorare a Obscure o cercarti un impiego alla noiosissima Corporazione dei Creatori dove passano il tempo a bere tè verde e a esaudire desideri noiosi?’
E così, fanciulletto e lady, la morale della storia è che ogni mezzo è lecito per esaudire un desiderio. Quindi non paventate! C’è speranza, qualsiasi desiderio voi abbiate! Basta attraversare quel sottile confine che separa il buon senso dall’immoralità.”
Mi inchino, attendendo l’applauso.
Mi arriva qualcosa sulla testa che fa Splatch!
Dall’odore di quello che mi cola sugli occhiali capisco che è un uovo marcio.
“La tua storia faceva schifo!” gridano all’unisono il fanciulletto e la ragazza.
Con la coda dell’occhio, vedo il Venditore che si copre la bocca con il cilindro. Ma lo sento, il risolino che gli sfugge. È stato lui a dare l’uovo marcio ai giudici!
Il fanciulletto e la cameriera si mettono a confabulare. Dopo qualche minuto, si alzano in piedi e il fanciulletto dice a gran voce: “La storia del vecchiaccio faceva così schifo che assegniamo la vittoria al Venditore senza neanche ascoltare cosa ha da dire!”.
Orrore e raccapriccio!
Il Venditore si gira, dandomi la schiena. Cosa sta trafficando con le mani? Poi si volta verso di me e avanza lentamente, lisciandosi… i baffi finti che si è appena messo.
“Bene, caro Oldman, ora devi esaudire un mio desiderio, ricordi? Altrimenti riceveresti la punizione della magia.”
Tremo.
“E… e qual è il desiderio?”
“Ebbene, quello che voglio che tu faccia è…”
Ascolto le poche parole che mi sussurra all’orecchio.

O porca…

E va bene, so pagare le mie sconfitte. Ecco qua:


domenica 25 ottobre 2015

L'angolo DIOldman

Eccomi in tutto il mio splendore.


Ossequi, amenità e cordiali cortesie a tutti.

Inizio dicendo che purtroppo non mi sono arrivate le domande che mi aspettavo:

- Perché sei così bello, Oldman?

- Perché sei così tenebroso, Oldman?

- Perché sei così FIGO, Oldman?

In ogni caso, mi sembra doveroso rispondere lo stesso alle vostre, e quindi lo farò al ritmo di qualche domanda al giorno. Certo, se mi aveste fatto quelle che volevo io, avrei risposto subito a tutte.

[Fabio] Chi le ha inciso la scritta "c'est la vie" sui denti?

Sei un acuto osservatore, Fabio. Mah, sai, quando sei lì al telefono cercando di convincere i clienti morosi a pagare oppure non sai che fare nella pausa lavoro, c'è chi si mangia le unghie, chi scarabocchia disegnini a caso sui fogli di carta. Io mi scrivo cose sui denti. Siccome ho un certo senso estetico, davanti mi son scritto solo C'est la vie, però ho cose molto interessanti scritte sui denti che non si vedono.

[Gaia] Potresti dirci quanti anni hanno tutti i personaggi?

Potrei ma... no. Sono molto sensibile alle domande sulla mia età, quindi rispetto quella degli altri. 

[Valentina] Qual è il suo gioco preferito?

Quello in cui presento il conto e la gente paga. O quando non paga e gliela faccio pagare io (risata diabolica).

[Luca] Sa che se comparirà nel volume tre sarà per puro caso o per pura pietà delle autrici? (prepara i bagagli per scappare lontano)

Dovrei avere ancora una bamboletta vudù che mi avanza da qualche parte.

[Enrica] É a causa di un amore non corrisposto che é approdato verso il lato oscuro? (una certa Mina.... :3)

Sì, l'amore per qualcosa di universale, in grado di aprire tutte le porte, di realizzare quasi tutti i desideri e che più ne hai più ne vorresti. La pecunia. Purtroppo la pecunia non ama me, ma sono un innamorato insistente, prima o poi cederà alle mie avance.

E per stasera au revoir a tutti, miei cari. Buonanotte, che l'oscurità cali su di voi con il suo gelido abbraccio.