[1]
Faccio oscillare il bicchiere, come un vero gentleman. Un
aroma fruttato accarezza con infinita delizia le mie narici e un liquido rosso
corposo entra festosamente nel mio palato.
“Mi scusi, padron Oldman, ma… sta bevendo il Barolo ordinato
dal cliente?”
Poso il calice sul bancone.
“Quel pelato pensa solo a vendicarsi della moglie, servigli
un Tavernello e non noterà la differenza.”
Poso una coppetta di salatini economici sul vassoio e mi
dedico, meditabondo, ad assaggiare i crostini di qualità che quel primate non avrebbe
apprezzato a dovere.
Oggi qualcosa non va.
Una piccola cosa, un pensiero infinitesimale dalla
mezzanotte non mi dà tregua. Giurerei che ci fosse una mansione che dovevo sbrigare,
ma non ricordo mica di che si tratta. È chiaramente il troppo lavoro, mi ha
usurato. Ieri ho dovuto risolvere il caso di una bevanda arrivata sgasata al
tavolo e di un cliente che si stava soffocando con un’oliva verde. Sono
sfibrato.
Afferro ombrello, cappotto e cappello e mi sistemo con cura
la sciarpa sul colletto. Un po’ di nullafacenz... aria fresca mi farà tornare
la memoria.
“Padron Oldman, oggi le previsioni danno nuvoloso, senza
pioggia.”
“Ignorante, l’ombrello serve per conferirmi un’aria
sofisticata.”
Apro la porta ed entro nel mondo.
[2]
L’aria
è squisitamente gelida. Scandendo il rumore dei miei passi con ritmici rintocchi
dell’ombrello sul selciato, mi beo del mio incedere elegante riflesso nelle
vetrine. Qua e là si odono risate e canzoni natalizie, e in fondo alla strada
un venditore ambulante decanta la bontà del suo vin brulé. Io mi dirigo verso
il mio posticino preferito per i momenti di relax, quando con la coda
dell’occhio intravedo un fanciulletto seduto su una panchina, che si soffia
rumorosamente il naso. Ha le guancette rosse rosse e la schiena ricurva. Il labbro
screpolato e le manine tremanti. Con un’espressione che trasuda quella
disperazione infinita ma in grado di passare in un istante tipica della sua
età, mi fissa supplicante. Il cuore mi si stringe a una simile visione, che mi
fa percepire in tutta la sua violenza il rigore invernale, e faccio quello che
il mio istinto mi suggerisce con prepotenza. Lo ignoro e tiro dritto verso il
chioschetto di vin brulé, un sorso mi scalderà.
Mentre
cammino di gran carriera, all’improvviso qualcuno mi strattona da dietro il
cappotto. Mi giro. È il fanciulletto.
“Ehi,
tu! Ti sembra questo il modo di comportarsi?!”
“Che
vuole dire, signore?”
“Macché
signore! Sono un ragazzo! E ho freddo! E fame! Non hai visto come ti ho fissato
prima?”
“L’ho
visto, sì.”
“Persino
un pezzo di pietra si sarebbe sciolto alla visione di me che muoio dal freddo!”
“Infatti
mi ha suscitato il desiderio di riscaldarmi con un vin brulé e… ahi!”
Mi
è arrivato un calcio sulla caviglia.
“È
a me che dovresti offrire qualcosa!”
Lo
fisso intensamente.
“Ma
bravo. Egoista, prepotente e persino violento.”
Inarco
le labbra, fino a sorridere in tutto il mio splendore.
“Complimenti,
stai crescendo su bene. Per premiarti ti offrirò qualcosa, vieni con me.”
Il
fanciulletto barcolla in maniera impercettibile.
“Perché…
sui denti hai scritto C’est la vie?”
[3]
Il
cielo è lievemente nuvoloso, la nebbia rada al punto giusto. Arrivo finalmente
al mio posticino preferito e mi accomodo sulla panchina. È una giornata
perfetta, se non fosse per quella piccola cosa che ancora non mi sono ricordato
e per un secondo pensiero fastidioso che ha preso a ronzarmi nella mente.
“Ehi,
ma mi ascolti quando parlo?” si impone una voce lamentosa alla mia destra.
“No.”
“Ma
sei spudorato! Hai sentito una sola parola di quello che ti ho detto?!”
“Non
ascolto quello che non mi interessa. Stavo pensando al fatto che sulla pagina
facebook il mio racconto non sta avendo una quantità adeguata di like, medito
vendette e ritorsioni terribili.”
Il
fanciulletto fa un’espressione perduta. Povera creatura che vive nell’ignoranza.
Metto
la mano in tasca e ne estraggo la scatolina delle caramelle.
“Ne
gradisci una?”
Il
fanciulletto tuffa le ditine smilze nella scatola e prende cinque caramelle,
cacciandosele tutte insieme nella bocca avida. Qualche secondo dopo, il viso si
contrae in una smorfia.
“Ma
sono amarissime!”
Le
sputa lasciando cinque ferite neri nella neve candida.
“Amare
come la vita” sorrido.
Sulla
pista di pattinaggio esattamente davanti alla mia panchina, una donna
sovrappeso cade facendo rotolare la borsetta che non ha lasciato al deposito
oggetti personali perché temeva che gliela rubassero. Un rossetto e una
confezione di prugne secche scivolano sul ghiaccio.
Mi
metto una caramella in bocca e rido amabilmente.
“Perché
cavolo ridi?”
“Adoro
lo spettacolo della miseria umana. Sei soddisfatto di ciò che ti sto offrendo?”
Mi
infilo un’altra caramella in bocca e sospiro, in estasi. Un signore in cravatta
prende male una curva e atterra dritto sul sedere. So che le chiavi che ha
nella tasca posteriore sinistra dei pantaloni gli lasceranno un livido
monumentale.
“È
questo che intendevi con offrirmi qualcosa?! Tu non ci stai con la testa.”
“Ti
stai lagnando di ciò che ti ho offerto con tutto il mio inesistente cuore, coso?”
“Io
non sono un coso! Mi chiamo…”
“Non
mi interessa come ti chiami.”
“Perché?!”
“Sei
rozzo e ineducato, non c’è eleganza nel tuo egoismo. Ora va’.”
Il
fanciulletto infila una mano nel cappotto troppo grande per il suo corpicino e
ne estrae un foglio tutto stropicciato.
“Leggi
qua!”
[4]
Il
fanciulletto insiste nel tenere la manina tesa, per impormi di leggere ciò che
ha in mano.
I
suoi occhi brillano di aspettativa.
Posso
sentire il cuoricino che gli batte forte, ansioso e impaziente.
Io
fiuto la situazione, mi alzo dalla panchina e tiro dritto verso il chiosco
degli hot dog, vicino alla pista da pattinaggio.
“Ehi!
Non vuoi leggere quello che ti sto dando?!”
“No,
io me ne tiro fuori.”
“Ma
di che parli?!”
“È
chiaramente un tentativo delle autrici di coinvolgermi in qualche trama
fastidiosa, ma non ci casco. Au revoir.”
Attacco
a correre. Il fanciulletto mi insegue, con tutta la potenza delle sue gambine
corte, ma io non starò al gioco delle autrici. Sono apparso troppo poco nella
storia principale per prendermi il disturbo di essere il protagonista del
racconto di Natale. Eh, no, cari miei, avete visto male, il sottoscritto leva
il disturbo e tanti saluti. Potevate pensarci prima!
Inciampo
vistosamente su un oggetto non identificato. Con infinita grazia, atterro di
faccia ma senza emettere un lamento. Mi rimetto in piedi con un atletico balzo
fingendo estrema nonchalance mentre i passanti mi guardano lievemente
allarmati, e lancio un’occhiata all’oggetto colpevole: un cappello da renna.
Giada Plasenzotti, ti pentirai di aver chiesto sulla pagina facebook che lo
indossassi. Oh, se non lo indosserò. Lo raccolgo, lo depongo in un cestino
dell’immondizia e ombrello alla mano riprendo la mia dignitosa passeggiata,
deciso a schivare qualsiasi accenno di trama incontrerò lungo la mia strada.
[5]
Dopo
essermi girato per l’ennesima volta, in modo da controllare che il fanciulletto
non mi stia più alle calcagna con l’ostinazione di un Terminator, mi godo la
ritrovata solitudine entrando nella mia sala da tè preferita. Mi accomodo nel
tavolino più appartato e ordino alla solerte cameriera la tisana tredici del
menu, quella all’echinacea.
“Le
piace molto questa tisana, ama i frutti di bosco?”
È
una giovinetta deliziosa, dai fianchi generosi e dalle occhiaie leggere di chi
sacrifica un po’ troppe ore di sonno alle fantasie notturne.
“No,
è perché l’echinacea mi ricorda il sapore del sangue.”
La
giovinetta mi fissa con uno sguardo indefinibile e si dirige verso il bancone.
Al
suo ritorno, sul vassoio accanto alla tazza di tisana è posato un cioccolatino.
“Lei
è un tipo strano, sa?”
“Userei
un’altra parola per definirmi ma sì, so che non resto indifferente a chi mi
guarda.”
“E
che parola userebbe?”
“Carismatico.”
Si
siede al mio fianco.
“Senta…
la verità è che… io so chi è lei…”
Avverto
un lieve brivido lungo la schiena.
“E
chi sarei?”
“Il
signor Oldman, il celebre custode di Obscure…”
Resto
in silenzio.
“Ecco,
io avrei un desiderio proibito da realizzare… Posso parlargliene?”
La
fisso. Con l’indice e il medio della mano destra, le esercito una lieve
pressione sotto il mento, in modo che sollevi il viso verso di me.
“Certo
che puoi parlarmene. Ma è molto più facile confessare l’oscurità che si ha nel
cuore se non ci si guarda, mia cara. Voltati, raccogli i pensieri per un minuto
e poi svelami tutto ciò che hai dentro.”
Gli
occhi le luccicano di emozione. Si gira, dandomi la schiena, e posa le mani in
grembo.
Io
infilo la mano nel taschino del cappotto, molto lentamente. Ne estraggo una
banconota e la depongo sul tavolo. Poi mi alzo, con altrettanta lentezza,
indietreggiando. Non appena un cliente entra nel locale, schizzo a razzo
uscendo dalla porta.
Non
mi avrete mai, autrici! Potevate inserirmi di più nella trama principale! Era
spudoratamente chiaro che quella donna fosse mandata da voi per chissà quale
trama avete in mente!
Assaporo
a pieni polmoni la corsa della libertà, mentre il vento mi scompiglia in
maniera coreografica i capelli e il cappotto ondeggia con fare sensuale.
Potrebbe essere la copertina di un bestseller mondiale, altro che quarta di cover
del volume uno del Gioco del Serpente. Dopo una quindicina di metri, mi fermo.
La corsa della libertà va bene, ma l’ascella pezzata no. Non è elegante.
Attendo
che il battito cardiaco torni lento e regolare come un metronomo, quando scorgo
in lontananza una sagoma familiare.
È…
[6]
C’è
una bancarella, sul lato destro della strada, collocata in maniera discreta
nello spazio tra un negozio e l’altro, esattamente nel punto in cui il muro
effettua una rientranza. Una bancarella modestissima: un piccolo tavolo, un
lenzuolo rosso, un cappello a cilindro posato con noncuranza e uno di quei
congegni che si usano nelle lotterie di paese. Avete presente? Quegli affari
con la manovella: la giri e ne esce una pallina. E poi, sopra il tutto, un uomo
dagli occhi viola, profondi, che fissano… me.
Mi
giro indietro e guardo alle mie spalle. Nessuno.
Sì,
il Venditore di Desideri fissa me.
Mi
sistemo il cravattino, brandisco l’ombrello, controllo in una vetrina di avere
la barba a posto e mi dirigo verso di lui, avendo cura di camminare tenendo i
piedi belli dritti. Una falcata da vincitore di un concorso di bellezza. Mister
Obscure, per servirvi.
“Buonasera,
Venditore di Desideri, qual buon vento.”
“Buonasera,
caro Oldman.”
Sorride
beffardo, come crede di saper fare solo lui.
Rispondo
con un doppio sorriso beffardo.
“Anzi,
precisiamo: il vento del destino, caro Oldman” sussurra, con un triplo sorriso
beffardo.
Ma
non mi batterai, ti lancio un’occhiata misteriosa lisciandomi il baffo. Tu non
hai i baffi e non puoi, tiè.
E
ci infilo un quadruplo sorriso beffardo.
“Destino…
di cosa, Venditore?”
Infila
la mano dentro il cilindro. Accidenti, io il cilindro non ce l’ho.
“Ah,
sai, è tutto il giorno che me ne sto qui a esaudire i desideri delle persone.
Ma sono desideri semplici, realizzarli non richiede più fatica di quanta ne
serva a un genitore per acquistare nel negozio davanti a casa il balocco
desiderato dal suo bambino.”
Nella
mano ora c’è un piccolo pacco regalo di cristallo, minuscolo come il pugno di
un neonato.
“E
quindi?”
“E
quindi ti propongo un gioco che possa divertire gente come me e te, persone che
hanno visto fin troppo e che a volte hanno bisogno di una ventata di novità che
porti nuova linfa nella nostra magia.”
Il
Venditore ha un unico problema: che quando cerca di dire frasi a effetto
comincia a diventare logorroico.
Ma
mi ha incuriosito. Lo so perché mi prude il sopracciglio destro.
“Quale
tipo di gioco?”
Lo
domando osservando distrattamente i passanti. Non è elegante sembrare troppo
interessato.
“Raccontiamoci
a vicenda una storia per stupirci, né troppo straordinaria, né troppo banale,
semplicemente che sia perfetta per questa giornata che ci avvicina al Natale.
Ah, e che sia sincera, per quanto possa essere sincera una storia. I desideri,
quando vengono raccontati da altre labbra che non siano quelle di coloro da cui
sono stati espressi, vengono sempre un po’ traditi, perché…”
“Sì
sì, ho capito” lo interrompo prima che sia troppo tardi.
“Allora
accetti? Perché sai…”
“Alt!
Stop! Un attimo, lasciami riflettere in silenzio” chiedo mettendo una certa
enfasi sulla parola “silenzio”.
[7]
Soppeso
la proposta del Venditore con la stessa meticolosità con cui scelgo la quantità
di olive da associare al cocktail di un cliente: raccontarci a vicenda una
storia a tema natalizio sui desideri, vedendo chi riesce a stupire di più
l’altro. Pro e contro?
Contro:
quando il Venditore di Desideri attaccherà a raccontare, rischio di non tornare
a Obscure prima di cinque giorni. Come minimo devo procurarmi delle scorte di
acqua e cibo.
Pro:
adoro sentire il suono della mia voce e il Venditore sarebbe costretto ad
ascoltare il mio racconto dall’inizio alla fine, con tutte le mie pause
sceniche e la mia mirabolante gestualità.
Però,
ora che ci penso, chi me lo fa fare?
“Ma
c’è un premio per il vincitore?”
“Chi
vince esaudirà un desiderio dell’altro, che ne dici di questa pensata? Mi
sembra il premio ideale, alla luce del Natale che si…”
“D’accordo,
d’accordo.”
Occasione
ghiotta. Ghiottissima. Non devo fargli capire che sono molto interessato.
“Accetto,
anche se in realtà sbadiglio già dalla noia.”
Mi
porto fintamente una mano alla bocca.
“Bene, per suggellare il nostro patto ruota la manovella della lotteria, allora. E la magia ci illuminerà su come procedere con il nostro gioco.”
“Bene, per suggellare il nostro patto ruota la manovella della lotteria, allora. E la magia ci illuminerà su come procedere con il nostro gioco.”
Agguanto
la manovella e do una girata. Dal contenitore ovale si sente provenire il
rumore di palline che ruotano e cozzano le une contro le altre. Poi, sul
tavolo, da una fessura sul contenitore esce una pallina. Il Venditore la prende
e la apre, annuendo in silenzio.
“La
magia dice che ci servono dei giudici e ci indica quali. Provvederò io in tal
senso, diamoci appuntamento tra un’ora nel parco dei cigni.”
“E
sia.”
Mi
allontano di gran carriera, fischiettando il bolero di Ravel mentre sono così
di buonumore che faccio dei saltini e sbatto i talloni tra di loro come nei
film. Ho praticamente già vinto. Farò un figurone così grande che il Venditore
sarà costretto a esaudire il mio desiderio. E so già cosa chiedergli, accidenti
se lo so!
Trascorro
l’ora di attesa leggendo a scrocco i fumetti dell’unica edicola del parco e
rubando la mela caramellata a una ragazzina con la scusa che fa venire la
carie.
Mentre
mi ingegno per togliermi lo zucchero dai baffi, giungo infine al luogo del
gioco, quando da lontano scorgo due sagome accanto al venditore. Sono…
il
fanciulletto pestifero e la cameriera del bar?
“Questi
saranno i due giudici della nostra gara, Oldman.”
Sono
fritto.
Inizio
a sudare vistosamente.
[8]
“E
vedi di farci divertire, vecchiaccio!” ride sguaiatamente il fanciulletto.
La
cameriera dalle forme generose mi fissa come se volesse ricoprirmi di bitume e
penne d’oca e rosolarmi nell’olio bollente.
“Ma…
devono essere proprio loro i giudici?” sussurro al Venditore di Desideri.
“Te
l’ho già spiegato, Oldman, lo sai anche tu che la magia funziona in modo
imprevedibile.”
E
va bene. Non sia mai che Oldman si faccia intimorire. Ho il racconto giusto per
l’occasione, li stenderò tutti quanti.
“Ebbene
– esordisco schiarendomi la voce – c’era una volta una Vigilia di Natale…”
“Passa
al sodo, vecchiaccio!”
“Cos…?!”
Ma
non faccio in tempo a ribattere che ci pensa il Venditore con uno dei suoi
sguardi magnetici. Non so come fa, riesce sempre ad affascinarli, i ragazzini.
Ma non sono invidioso, io ho i baffi. Scommetto che lui ha tentato di farsi
crescere la barba e non ce l’ha fatta.
“Dicevo!”,
riprendo con enfasi. “C’era una volta una Vigilia di Natale. Io ero nel luogo
dove si realizza qualunque desiderio e stavo controllando che i camerieri
facessero il loro dovere e…”
“Camerieri?”
chiede la ragazza.
“Sì,
Obscure è un pub, la gente si sente più a suo agio davanti a quantità smodate
di alcol.”
“Che
sciocchezza” commenta la giovinetta. Il Venditore stavolta non interviene, quel
subdolo gigolò, quindi ci penso io.
Mi
tolgo gli occhiali.
I
miei due giudici ammutoliscono e finalmente posso narrare in silenzio.
Rinforco
gli occhiali.
“Dunque…
dicevo, ero a Obscure, la sera di una Vigilia di Natale un po’ troppo affollata
per i miei gusti, quando all’improvviso nel locale entrò (ci butto un verbo al
passato remoto che fa sempre colpo) un giovane. Aveva un aspetto un po’ troppo
magro e degli occhi un po’ troppo stanchi. Non era accompagnato da nessuno,
così mi avvicinai e gli porsi un bicchiere di Pinot grigio dicendogli che gli
avrebbe dato un po’ di conforto e sperando che ne ordinasse un secondo, così
potevo addebitarglieli entrambi.
Lui
si accasciò sulla prima sedia vicina e, con uno sguardo troppo spento per la
sua età, mi raccontò delle sue pene. C’era una ragazza per cui era impazzito.
Non riusciva a togliersela dalla testa, ne era così ossessionato che la pensava
continuamente.
Così
gli chiesi come fosse nato questo amore che lo consumava.
‘Non
lo so’ rispose. ‘Se potessi, vorrei dimenticarmi tutto.’
Era
così grazioso, ignaro di se stesso e di come funzionava il suo cuore, che
decisi di aiutarlo.
‘In
tre giorni di tempo ti donerò la felicità.’
Lui
mi fissò con uno sguardo che non dimenticherò mai.
[9]
Continuai
il mio racconto.
“Il
primo giorno il giovane tornò da me e gli diedi una rosa. Era rossa, bella e
profumata. Gli dissi di tenerla con cura per il gambo nel punto in cui l’avevo
avvolta con una carta dorata e di darla a colei che gli aveva rapito il cuore
dicendole di aspirarne tutto il profumo. Lui la prese come se fosse la cosa più
delicata del mondo e in silenzio uscì dal locale. Non senza aver bevuto tre
Prosecchi e pagato il conto.
Il
secondo giorno il giovane tornò da me con un volto dubbioso. La ragazza, dopo
aver annusato in profondità la rosa, l’aveva buttata a terra ed era corsa via.
Il cuore del ragazzo si sentiva come il fiore rifiutato e soffriva come non
mai.
Allora
gli diedi un abito. Era un vestito di seta azzurra, così leggera che ondeggiava
lievemente al minimo tocco di vento. Lo avevo avvolto in una delicata carta
argentata, affinché il prezioso tessuto rimanesse protetto e intatto. Lui
ringraziò e uscì dal locale, dopo avermi offerto un Primitivo e lasciato la
mancia.
Il
terzo giorno il giovane tornò da me con la faccia livido di sgomento. La
ragazza aveva aperto il dono, accarezzato il tessuto con la punta delle dita,
ed era corsa a chiudersi in camera per provarselo. Il giovane aveva udito poi
dei rumori, come un piccolo urlo, ed era apparsa la domestica a dirgli che non
era più gradito all’interno della casa.
Il
giovane bevve tre bottiglie del Barolo più costoso, pagando in anticipo, e alla
quarta gli feci trovare sul vassoio anche un anello. Al centro, aveva un diamante.
Su tutta la superficie della fedina, deliziose incisioni floreali.
‘Non
pensavo che l’amore che provo per lei potesse essere incarnato così bene in un
oggetto’ disse.
Si
allontanò con il sorriso della speranza.
Il
quarto giorno venne da me uno dei camerieri di Obscure porgendomi il giornale.
In prima pagina, c’era la foto del giovane e il titolo: ‘Ragazzo tende un
agguato alla donna (non più) amata cospargendola di melassa e prugne secche’.
Sorrisi.
‘Mi
scusi, padron Oldman, posso farle una domanda?’ disse uno dei miei servitori.
‘Certo’
risposi allegro.
‘Ma
non aveva promesso a quel giovane la felicità? Non capisco come mai i regali
non abbiano funzionato… A giudicare dalla reazione del ragazzo, persino l’anello
non dev’essere stato gradito.’
‘Oh,
be’, la rosa era ricoperta di una fragranza che se inalata in profondità genera
un istantaneo effetto lassativo. Il vestito, a contatto con la pelle per mezzo
minuto, lasciava sulla schiena la scritta Scemo chi Legge e l’anello ti generava
un prurito che sarebbe passato in una settimana.’
‘Ma
aveva promesso di donare a quel signore la felicità…’
‘E’
stato lui a dirmi ‘Se potessi, vorrei dimenticarmi tutto’. A giudicare dalla
melassa e dalle prugne secche, ora detesta così tanto quella donna ingrata che
non vorrà mai più vederla.’
‘Ma
non è stata un’ingrata, ha semplicemente reagito ai doni molesti che lei ha
dato a quel giovane!’
Mi
lisciai i baffi.
‘Scusa,
tu vuoi lavorare a Obscure o cercarti un impiego alla noiosissima Corporazione
dei Creatori dove passano il tempo a bere tè verde e a esaudire desideri
noiosi?’
E
così, fanciulletto e lady, la morale della storia è che ogni mezzo è lecito per
esaudire un desiderio. Quindi non paventate! C’è speranza, qualsiasi desiderio
voi abbiate! Basta attraversare quel sottile confine che separa il buon senso
dall’immoralità.”
Mi
inchino, attendendo l’applauso.
Mi
arriva qualcosa sulla testa che fa Splatch!
Dall’odore
di quello che mi cola sugli occhiali capisco che è un uovo marcio.
“La
tua storia faceva schifo!” gridano all’unisono il fanciulletto e la ragazza.
Con
la coda dell’occhio, vedo il Venditore che si copre la bocca con il cilindro. Ma
lo sento, il risolino che gli sfugge. È stato lui a dare l’uovo marcio ai
giudici!
Il
fanciulletto e la cameriera si mettono a confabulare. Dopo qualche minuto, si
alzano in piedi e il fanciulletto dice a gran voce: “La storia del vecchiaccio
faceva così schifo che assegniamo la vittoria al Venditore senza neanche
ascoltare cosa ha da dire!”.
Orrore
e raccapriccio!
Il
Venditore si gira, dandomi la schiena. Cosa sta trafficando con le mani? Poi si
volta verso di me e avanza lentamente, lisciandosi… i baffi finti che si è
appena messo.
“Bene,
caro Oldman, ora devi esaudire un mio desiderio, ricordi? Altrimenti
riceveresti la punizione della magia.”
Tremo.
“E…
e qual è il desiderio?”
“Ebbene,
quello che voglio che tu faccia è…”
Ascolto
le poche parole che mi sussurra all’orecchio.
O
porca…
E va bene, so pagare le mie sconfitte. Ecco qua: